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  L'UOMO SENZA TEMPO
  10 ottobre 2005

 

C’era una certa agitazione in giro per le verifiche di quel San Martino del 1977.
“Pare che la gara non si faccia, mancano le autorizzazioni” era la voce più insistente che girava come un odioso moscone in mezzo ai quasi duecento concorrenti che increduli si interrogavano uno con l’altro.
Le Stratos di Munari e Pregliasco sonnecchiavano in un piazzale, con attorno una folla enorme di gente, più avanti le blu 131 Olio Fiat di Verini, Bacchelli e clamorosamente anche tale Walther Rohrl che debuttava a sorpresa sulla vettura torinese nonostante l’iscrizione fatta con la Porsche, una moltitudine di Opel in gruppo 1 e 2. Quasi 200 vetture ferme ad aspettare che gli organizzatori sbloccassero la situazione e intanto l’ora della partenza si avvicinava senza che la matassa fosse sbrogliata, anzi!

“Nemmeno l’intervento di Cossiga ha migliorato la situazione” mi disse una persona molto vicina all’organizzazione capeggiata dall’avvocato Stochino, avevano tentato perfino la carta del Presidente del Consiglio, ma alla sua telefonata il commissario prefettizio minacciò di dimettersi clamorosamente facendo un casino sulla stampa. Cosa ci fosse dietro non l’ho mai nemmeno immaginato, ma credo che ci fossero delle cose molto più grandi di quello che noi possiamo normalmente immaginare.
“La gara probabilmente partirà domani sera con tre sole prove speciali da ripetere fino al raggiungimento del chilometraggio minimo, non c’è altra soluzione”.
Si respirava un’aria davvero pesante soprattutto in quei tempi in cui i rally erano davvero considerati uno sport importante, e che il commissario prefettizio non avesse rilasciato, o forse ritirato i nulla-osta già dati per tempo, era un fatto davvero incredibile in una gara che tra l’altro aveva la validità per la prima coppa FIA conduttori e che Sandro Munari si stava aggiudicando cavalcando la tricolore Lancia Stratos Alitalia. Uno schiaffo davvero grosso, considerando gli appoggi che i rally avevano allora nelle istituzioni.

Ne discutevamo poco prima della partenza nella hall dell’albergo Dolomiti, assieme al mio navigatore Andrea Meggiolan, quando entrò di colpo sua sorella assieme ad un ragazzo, magrolino un po’ pallido dalla faccia spaurita, indossava una tuta Sparco bianca sembrava quasi un infermiere e il colore gli sbatteva ancora di più la sua cera già da oltretomba.
“Questo è il mio ragazzo” disse lei. “Corre con l’Ascona gruppo 2 quella rossa che era dell’Armando Gianesini”
Non era forse la prima volta che lo vedevo, però in quel momento la sua identità mi sfuggiva e soprattutto non ci feci caso visto anche che l’Ascona rossa del povero Armando era considerata da noi una specie di ossario e che con la 127 altrettanto ossario ci arrivavamo quasi sempre davanti.
“Questo qui con quell’aria là intralcerà di sicuro tutti quelli dietro” spifferò sottovoce Gianni che era venuto a seguire la nostra gara. L’anno prima avevamo corso assieme e l’avventura era finita in fondo ad una scarpata sul Monte Grappa “Non corro più con te, sei matto e non sai andare, vai troppo poco di traverso e poi fatti recuperare dall’ACI io me ne vado” aveva sinistramente proferito appena aveva faticosamente messo fuori il naso dalla 127 ribaltata il cui numero da 166 era tristemente diventato 991 e così venne solamente per vedere la gara, diffidando dal salire con me anche solo per andare al tennis, voleva sempre guidare lui “Tu sei matto e io ho famiglia” diceva con il tono del saggio.
“Hai già fatto qualche rally?” Gli chiesi approfittando del momento in cui mi guardò.
“Si ho corso il Valli Piacentine”
“E com’è andata?”
Divenne rosso, non so se di rabbia o di timidezza.
“Sono uscito di strada”
“CAPITA, ma è molto meglio se non succede”
“Però faceva dei bei tempi” disse Andrea.
“Ma pensa te…”
“Ahhh!!! Quello non sa andare, basta guardarlo… Non vedi che tristo (parola veneta che significa sbiadito, privo di qualunque reattività)” ribattè Gianni agitando le mani.
“Non ha la faccia da acceleratore, si vede ad un chilometro”

La gara partì con un giorno di ritardo, tre sole prove speciali, Desene, Manghen e Tognola, ripetute alla noia per due giorni. Come sempre la mia 127 alzò bandiera bianca, perse un puntone di reazione anteriore, la cui base sulla scocca era malamente crepata già da chissà quanto tempo visto che si vedeva chiaramente della ruggine. Restammo tutta la notte a guardare i passaggi delle altre vetture da Munari, che davvero fece dei passaggi da manuale, fino all’ultimo sfigato per ben tre volte, al mattino finalmente il carro ACI ci portò in un’officina dove con una semplice saldatura ripararono il problema permettendoci di ritornare a San Martino con l’auto integra ma chiaramente fuori gara, restammo fermi in prova 8-10 ore, una vita.
A dire il vero il ragazzino sbiadito, che più tardi scopersi nato nel mio stesso anno solo sei mesi dopo, passava ogni volta con una grinta e una cattiveria notevole, con belle traiettorie, anche se di traiettorie si poteva parlare poco in quei tempi in cui vigeva di più la tecnica dell’equilibrismo.
“Cacchio! Non va mica male tuo cognato, ha l’aria di uno sfigato però l’Ascona la fa girare piuttosto bene !”
Più tardi sul tabellone di legno appena fuori la direzione gara guardavamo i suoi tempi e credo che la vecchia Ascona ex-Armando non avesse mai nemmeno avvicinato quelle prestazioni prima di quel momento… e neanche dopo quando lui la vendette per correre con la 112.
Probabilmente nessuno credeva in lui, tranne lui stesso che sapeva già in maniera inequivocabile cosa fare e soprattutto come farlo.
“I miei mi lasciano correre alla sola condizione che spenda i miei soldi, non ne ho neanche uno ma mi do da fare” Disse sempre quella sera in cui lo vidi per la prima volta.
Durante l’inverno seguente ci trovavamo spesso quassù a cena insieme a molti rallysti e una sera convinsi Sandro Munari che a quei tempi festeggiava abbastanza allegramente, di portarci a fare un paio di numeri con la mia Beta HPE per vedere come si doveva guidare.
Salimmo in cinque, tra cui anche l’uomo senza tempo.
Sandro ci diede dentro e mica poco, fu uno spettacolo davvero unico per tutti tranne che per la mia povera Beta e alla fine, orgoglioso della prova data dal mio amico campione chiesi “Beh allora cosa te ne sembra?” L’uomo non fece una piega, mi guardò senza neanche cambiare espressione e disse “Anch’io guido così!”
Non vi racconto la reazione dei pochi presenti, tra cui il sempre goliardico Gianni, fu tacciato di ubriachezza molesta e messo alla gogna per aver solo paragonato se stesso con l’allora re dei rally.
Me ne accorsi alcuni anni dopo studiandolo a fondo, che la sua guida era davvero molto simile a quella del Drago. Aveva ancora una volta ragione lui, lui guidava davvero così.

Fu così che conobbi l’uomo senza tempo, il suo nome è Gian Franco Cunico, una persona, un amico che attraversò spesso la mia vita, non nascondo che tra noi ci fu sempre una certa rivalità e le poche volte che gli stetti davanti furono sulla terra, quasi mai sull’asfalto e credo comunque che ad oggi sia uno dei migliori piloti che l’Italia abbia mai prodotto. Lo reputo tuttora un genio della guida, fu abile nel trovarsi quasi sempre nel posto giusto al momento giusto, guidò tutto e di tutto sempre al massimo delle sue possibilità e spesso oltre, un carattere difficile scontroso ma molto determinato, cadde, risorse, ma mai giacque. L’uomo senza tempo è ancora lì, un po’ ingrassato e stempiato, con la stessa decisone che aveva trent’anni fa. Quando c’è da mettere del suo è sempre in prima fila, sempre con la stessa voglia di vincere di un tempo, perché per lui il tempo non è passato e non passa mai.
Per questo ho voluto dedicargli queste righe, è un esempio davvero incredibile di volontà, capacità, caparbietà e longevità che qualunque giovane dovrebbe perseguire. Correre nei rally non è solo saper guidare la macchina, se si sa fare anche questo tutto diventa un po’ più facile, ma poi mettere il sedere al posto giusto non è davvero semplice e comunque bisogna meritarlo.
Tieni duro uomo, in fin dei conti rappresenti i sogni di chi non ha potuto e non ha avuto le tue grandi capacità, non mollare mai…

foto Massimo Bettiol