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 SOGNANDO DAKAR (Parte 1)
 9 dicembre 2009
 

Le immagini inerenti il racconto le trovate qui

 
Miguel è là che ci aspetta, vestito nella piena tradizione argentina, magrissimo ma con l’espressione delle persone buone. Miguel è il padrone delle Dune, suo padre arrivò in quella terra incredibile verso i primi anni ‘40 da chissà dove, “Vide questo posto e gli piacque, si installò e morì alla veneranda età di 116 anni dopo aver avuto 19 figli da due mogli diverse, la seconda la sposò quando lui aveva 50 anni e lei 15” Miguel non è l’ultimo dei fratelli ma assicura che l’ultimo fu concepito dal “papi” dopo i 90 anni. Ora Miguel è arrivato all’appuntamento con il cavallo, non ha altri mezzi di trasporto e sogna una “camioneta” è partito alle 7 per attraversare le dune e trovarsi dopo 3 ore con noi e guidarci a passare quello che lo scorso anno fu l’ecatombe della Dakar. Siamo partiti ieri da Mendoza, io e Claudio un amico argentino che di professione fa l’assicuratore e che la Dakar non sa quasi cos’è, io di fare il pensionato agli arresti domiciliari non ne ho voglia e dopo un sopralluogo con Tiziano Siviero che conosce la zona meglio degli Dei Pehuenche (antico popolo indiano abitante la zona) ho deciso di attraversare le dune a tutti i costi anche da solo.

Partiamo presto al mattino districandoci nel traffico mattutino con destino San Raphael, la giornata è come sempre splendida, il nostro primo obiettivo è arrivare alla casa di Miguel (che si trova in una zona perduta inimmaginabile) avvisarlo che l’indomani tenteremo di passare le dune e quindi avere almeno qualcuno che ci verrebbe a cercare nel caso che ci restassimo dentro.  La sfida del primo giorno è quella di arrivare da lui passando per una parte del deserto che pare davvero impegnativa, le mappe praticamente non esistono e anche guardando Google earth non si trovano i passaggi, qui il terreno cambia in continuazione e la foto satellitare di 3 anni fa o più non è assolutamente affidabile. Predispongo un itinerario di massima sul GPS cercando i punti dove si può passare e partiamo per la traversata. Prima sorpresa dopo pochi km un bel cancello di legno chiuso con un lucchetto, giriamo e tentiamo un’altra via, ma anche qua è chiuso con il lucchetto. Entra in azione il piano 2. Già vedo Claudio con una faccia preoccupata pensando che la nostra prima traversata fallisca causa cancello chiuso.

Scendo e dopo una rapida occhiata sfodero la valigetta azzurra dove tengo ogni tipo di utensile, un martello e una chiave da 13 e il cancello viene smontato, sfiliamo il lucchetto, passiamo e lo rimontiamo.  Il terreno pare discreto, molto sabbioso, ogni tanto un piccolo rio secco, ogni tanto la strada manca del tutto e passiamo tra le sterpaglie desertiche, ma tutto sommato si va, mi rendo subito conto che la traccia del GPS la posso anche buttare perché ogni volta che dico “Ecco ci siamo! Si gira dalla parte opposta”, all’inizio la preoccupazione più grossa è quella di non tornare indietro e smontare un altro cancello, la voglia di andare avanti è tanta. La Casa di Miguel dista circa 20 km in linea d’aria, ma dove stiamo andando non è la direzione giusta, facciamo una specie di angolo di novanta gradi, con i due lati di sei km la strada diventa stretta con pietre e molta sabbia. Ad un certo momento ci troviamo ad un bivio, a sinistra una strada impestata dove gli arbusti sono cresciuti in mezzo alla strada e pietre di grosse dimensioni affiorano un po’ ovunque e davanti una salita sabbiosa che scollina dopo pochi metri in un salto che porta in un fiume secco di grosse dimensioni. Scendiamo e andiamo a vedere, fa caldissimo e la sabbia rende ogni passo pesante. Claudio è vestito da “Messa ultima” con scarpette e camicina, aveva avuto un appuntamento a San Raphael che avevamo fatto coincidere con il viaggio e poi non ha avuto il tempo di cambiarsi.  Se saltiamo nel fiume non potremo più risalire nel caso non ci siano altri sbocchi, se andiamo a sinistra ci pianteremo al 99% da qualche parte, in poche parole se vado avanti dovrò andarci per sempre perché tornare indietro sarà impossibile. Devo salire la piccola salita con molta sabbia e poi buttarmi di volo nel letto del fiume oppure torniamo a casa. Abbasso un po’ la pressione delle gomme per poter avere più sensibilità nella sabbia e quindi mi calo nel fiume in maniera piuttosto spettacolare, il fondo è ghiaioso e si fa fatica ad avanzare, ho il terrore di fermarmi, se si affonda un po’ non si riparte più, una bella emozione che non so se considerare come totale incoscienza oppure follia senile. Siamo fuori di 10 km in linea d’aria dalla strada dove abbiamo smontato il cancello, se ci fermiamo chi torna a casa? Mi vengono i brividi solo a scriverlo in questo momento. Ma non è nemmeno iniziata la parte difficile.

Il fiume si restringe e non poco e devo trovare la pista che abbiamo perso, il GPS mi dice che tra 3 km dovremmo trovare qualcosa ma di questo passo non li facciamo 3 km è troppo difficile risalire il torrente.
Ad un tratto sulla destra vedo una stradina, prendo la massima velocità possibile e mi ci butto su, un paio di botte sul paracoppa, Claudio appeso alla maniglia e siamo in una pista o almeno lo speriamo, avanti ancora è stretto e tortuoso, con dei passaggi dove la pioggia ha fatto sparire i livelli di decenza della strada ma ormai dobbiamo trovare una soluzione, Miguel è a 12 km in linea d’aria a 265° mentre noi stiamo andando verso 46° , nessun segno sulla mappa lo schermo verde mi guarda tranquillo e la freccia sta girata tutta verso sinistra dicendomi che dovrei andare di là.

Si sale tantissimo è talmente ripido che vado su in seconda ridotta sperando che la strada non finisca se no chi torna più giù a marcia indietro? Non lo dico ma ho paura che da una curva all’altra la strada finisca o diventi impraticabile, qui basta una pioggia per cambiare il mondo.

Finalmente arriviamo in cima e siamo talmente sudati che non riusciamo nemmeno a goderci il bellissimo panorama, a sinistra lontanissime le Dune di Niuhil, davanti a noi l’immenso con montagne di tutte le qualità, dietro la pianura sconfinata, la strada va avanti e noi con lei. Sono passate due ore da quando siamo entrati e Miguel dista 7 km., con un bel taglio potremmo arrivarci in pochissimo però ci vorrebbe un elicottero. Entriamo in una piccola gola, molto stretta, quasi non si passa e appena entro la strada sparisce, siamo in un letto di un torrente talmente stretto e con dei massi enormi dentro che non ho idea di come farò a girarmi, oltretutto per andare dove? La strada è finita!

Scendo aprendo la porta a malapena e vado a vedere che opzioni ci sono.
Non è vero che la strada finisce, sale da una parte della montagna che è indescrivibile, avrei paura a salirci con la moto, e poi come faccio ad imboccarla che non riesco più nemmeno ad aprire le portiere… Per girarmi faccio fuori una fiancata, un gran colpo e una strisciata, la povera Ranger si mette quasi su un fianco, butto la retro e salgo su un’altra pietra, riparto in seconda e butto giù tutto, facciamo qualche salto in cui si riesce a malapena star seduti e mi butto su per la salita, il motore ulula impietosamente, devo passare e arrivare in cima, la strada manca sulla destra è franata e devo buttarmi ancora di più sul piccolo costone, se ruzzoliamo giù ci facciamo anche male e poi qui chi ci trova più. Gli Dei Pehuenches sono con noi e arrivo in cima, ma giuro è stato davvero un miracolo. Mi fermo un attimo guardando dove son passato e non ho nemmeno l’idea di fare una foto, anche se la Sony mi penzola al collo come un pendolo. Tornare giù di là è impossibile andare avanti come sarà? Lo scenario è ancora più preoccupante, moltissima sabbia, stretto, non ci si può girare in nessun modo…  Fatichiamo molto a superare un km di strada ad ogni momento sembra di insabbiarci, il motore urla soffocando e non posso sgonfiare di più altrimenti buco in qualche pietrone o nei terribili spini di un maledetto cespuglio che buca anche le gomme da gara, è uno dei nemici numero uno della Dakar, lungo circa dieci cm ha una punta talmente dura e accuminata che perfora qualunque cosa, i lati del sentiero ne sono pieni e dobbiamo passarci sopra per non andare di sotto.  Inizio a chiedere perdono dei miei peccati, la strada è impraticabile. Torno indietro con la retro e ci piantiamo nella sabbia. Non ho molta pratica di sabbia, solo mi tornano in testa i consigli che mi dava Tiziano e gli altri piloti. Non tento assolutamente di uscire, sarebbe mortale, sgonfio ancora e con la pala sposto tutta la sabbia che impedisce di muovere, se riesco ad andare indietro 5 metri poi prendo la rincorsa e salto su costi quello che costi ce la devo fare. Sgonfio a 1,5 bar (da 3,5 che andrebbe di serie) salgo in cima al punto che devo passare per vedere come sia dall’altra parte, è buono anzi la strada migliora, mi rigenero, forse è l’ultimo strappo da fare prima della vittoria.

Ritorno in macchina che lascio sempre rigorosamente in moto, potrebbe non ripartire più per qualunque malaugurata cazzata meglio non rischiare, metto retro e lascio la frizione con una delicatezza unica, si muove, schiaccio più forte e lei salta indietro con impeto, butto la seconda al volo e giù tutto, se qualcuno avesse visto la scena da fuori forse avrebbe pensato ad una balena che esce dall’acqua, la povera Ford si impenna, per un lungo istante vedo solo il cielo e poi la sento ricadere pesantemente al suolo, siamo passati. Claudio non parla da quando abbiamo smontato il cancello, è pallido, paonazzo, blu verde rosso giallo, lo guardo quasi a cantar vittoria lui non mi vede nemmeno, la strada segue una linea elettrica, da qualche parte sbucheremo il palo è il numero 76 e calcolando che sono piantati a un centinaio di metri uno dall’altro tra 7/8 km dovremo trovare qualcosa.  Per trovare la strada che va da Miguel dovremmo tagliare un Km e duecento a sinistra ma non si passa e quindi andiamo avanti però ormai ci siamo, infatti troviamo il cancello di uscita che smontiamo con una gioia immensa, ormai siamo fuori dalla peste, 20 km in linea d’aria fatti in poco più di quattro ore. Giriamo a sinistra e andiamo verso casa di Miguel, ormai qui la strada è buona.  Praticamente Miguel vive in una casa isolata, il paese Nihuil è a 20 km in linea d’aria passando le dune dove perfino la Dakar ha avuto paura di passare , il resto è tutto molto più lontano.

Miguel è contentissimo di vederci, domani ci porterà lui ad attraversare le dune, lui le conosce come le sue tasche, alle sette prenderà il suo cavallo e verrà vicino a al paese, ci diamo appuntamento alle 10 poi ci faremo un asado da lui, nella sua casa modestissima, dove vive con moglie e due figli, una cinquantina di cavalli, pecore, capre cani e gatti. Si lamenta Miguel, i puma gli mangiano i capretti e in questo periodo di grande siccità arrivano vicinissimi alla casa, non ha elettricità, ha una batteria che gli ha fornito il governo con un pannello solare che gli accende una lampadina da 12 volt. Il frigo va a gas e una bombola da 15 kg dura 18 giorni dopo di che deve andare al paese a prenderne un’altra e tirarla con una specie di barella che attacca al cavallo.

Domani ci aspetterà al solito posto e l’emozione di passare per le dune è talmente alta che fatico a prendere sonno….