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  12 luglio 2004
Una pallida alba color giallo limone rischiarava le betulle innevate, trasparendo timidamente tra velate nubi che sembravano pennellate da un bizzarro pittore impressionista, la perturbazione se n’era andata così come era venuta, lasciando per terra una ventina di cm. di neve soffice e fresca.
Karlstad era già in movimento, bellissime ragazze bionde aspettavano l’autobus con lo zainetto dei libri sulle spalle, mentre cupi uomini infagottati nei paltò guardavano con gli occhi sbarrati la nostra Delta passare rumorosamente e infilarsi finalmente nel garage coperto dell’hotel.

“Giuro che me la sono vista brutta stanotte” Mormoravo tra me stesso ripensando all’avventura passata e sognando un bel bagno caldo.

Erano circa le 22 quando affrontavamo l’ultima prova speciale del rally, terzo passaggio a tutta, l’ultima prova delle ricognizioni.  Una fitta nevicata riduceva di molto la visibilità ma comunque sui ghiacci svedesi andare a meno di cento all’ora vuol dire andare molto piano.  “Destra veloce 50 sinistra media” La nota arriva in leggero ritardo. Blocco le ruote e vado dritto contro la neve, fuori strada un metro e mezzo non di più, la macchina ha le ruote dietro ancora sulla carreggiata ma il paracoppa si è agganciato ad un pietrone che ha sollevato leggermente le ruote anteriori.  Appena metto la retromarcia capisco che la faccenda è seria, la macchina è come cementata sul posto, le ruote girano libere sollevando beffardamente uno spruzzo di neve soffice che passa a fianco del finestrino aperto di pochissimo.

Fuori la temperatura è intorno ai meno 15 e la neve scende davvero copiosa nella buia notte svedese, la foresta è silenziosa nemmeno un segno di vita nel raggio di parecchi chilometri, un silenzio irreale fa da contorno al motore soffocato della Delta che reclama la sua libertà graffiando il terreno con i lunghi chiodi.
“Chiamiamo l’assistenza che ci vengano a recuperare se riusciamo a sentirli, io intanto scendo per cercare di capire come siamo messi” dico slacciandomi le cinture e buttando le cuffie dietro nel sedile.
La neve è alta circa 50 cm. e le mie gambe sprofondano nella soffice coltre. Inizio ad organizzarmi prendendo la pala in dotazione, tolgo tutta la neve attorno alla vettura tenendo la pila in bocca per vedere se è possibile fare qualcosa.
“Non riesco a contattare il furgone, devono essere fuori dalla copertura radio” Mi giunge nervosa la voce dal finestrino semiaperto.
“Speriamo passi qualcuno perché qui la vedo dura” Proviamo ad alzarla con il crick ma niente da fare è piantata come fosse corpo unico con la roccia e il crick sprofonda nella neve.
I piedi iniziano a darmi fastidio, bagnati fradici e gelati, inizio a preoccuparmi nel mezzo del silenzio della buia notte nevosa, chiamo invano per radio ma non risponde nessuno solo un fastidioso fruscio senza nessuna voce rompe il cupo silenzio. “Abbiamo meno di 10 litri di benzina e non so quanto durerà” Risalgo in macchina per cercare di scaldarmi i piedi.
“Non c’è verso di uscire di qui, siamo impiantati ed è molto tardi, sono tutti in albergo, compreso il furgone che non avendoci visti arrivare se ne sarà andato pensando che eravamo già passati.”

Il tempo passa lento con il motore in moto, unico fastidioso brusio nella terribile notte che si sta impadronendo di noi.  Nella mia mente corrono pensieri di tutti i tipi… angoscia...  Ad un tratto la radio emette un crepitio, mi precipito immediatamente a prendere il microfono. “Flavio, Flavio mi senti?” La radio emette un altro crepitio.

“Flavio, io non ti sento ma tu senti di sicuro me, siamo piantati a metà prova vienici a prendere, vieni avanti e continua a chiamare” “Si sto venendo ma non trovo la strada… non si vede nulla e il furgone fatica nelle salite, slitta e va dappertutto, ho molta paura di piantarmi”. “Metti le catene, dovrebbero esserci da qualche parte, spero!”

Nella foresta svedese è pressoché impossibile orientarsi anche con una cartina ben dettagliata, ci sono moltissime strade ed imboccare quella giusta è veramente arduo.  “Non riesco a salire e nel fare retromarcia mi sono piantato, ora monto le catene” Il tempo passa e il freddo aumenta, nessuna notizia del furgone. “Sono ripartito vediamo se riesco ad arrivare da voi”

Il cuore mi si solleva e quasi mi sembra bella perfino la foresta immersa nella nevicata, le nostre tracce sono cancellate e la spia della riserva è gialla ormai da molto tempo, tra poco arriverà il furgone e questa brutta avventura andrà in archivio. Ad un tratto la radio si mette a gracchiare nuovamente. “Si è spezzata una catena e ha tranciato il tubo dei freni, non riesco a muovermi, sono in un piccolo fossato ma da qui non posso uscire senza l’aiuto di qualcuno”

“Riesci a dirmi dove sei? Ti veniamo incontro a piedi” “Credo mi manchino una decina di chilometri al fine prova, quanto siete dentro voi?” ”Madonna…”  “Noi siamo dentro almeno 8-10 km. e raggiungerti a piedi è impossibile, ci sono case là in giro?” “No neanche l’ombra, qui c’è un lago enorme ghiacciato, ma case è un po’ che non ne trovo”

Bene ora siamo piantati in due. Inizio ad avere paura, possibile che non passi nessuno?

Scendo e mi metto a frugare nella neve per trovare qualche pietrone da mettere sotto le ruote in modo da alzare il muso, ma niente è tutto sommerso dalla neve e le pietre sono gelate attaccate al suolo, impossibili da smuovere, il crick al fine corsa non riesce ad alzare le ruote da terra, non posso fare niente.

Risalgo in macchina, non sento più i piedi sono bagnato fradicio e la temperatura in macchina nonostante il riscaldamento al massimo non è un granché. “Che facciamo… Incontro non possiamo andarci e comunque anche lui è fermo, qui tra poco la benzina finisce e questo diventa un frigorifero” “Aspettiamo sono quasi le quattro, prima di domani passerà qualcuno si spera” Ogni tanto chiamavo Flavio il meccanico, anche lui angosciato quasi disperato.

“Vedo degli occhi qui vicino forse sono alci o renne, spero non siano lupi…“  La nevicata inizia a rallentare ma la situazione non cambia, battevo i denti dal freddo e i piedi erano diventati un tormento, gelati bagnati mi dolevano fino a farmi togliere le scarpe. Ad un tratto una luce dietro a noi, improvvisamente come un fascio di luce che scruta la buia notte riportando la speranza nel cuore. Scendiamo e saltiamo in mezzo alla strada “Fermi fermi”

Si ferma una Volvo vecchia come me, a trazione posteriore con a bordo due ragazzi e due ragazze che probabilmente tornavano a casa o chissà dove andavano dopo la serata passata in giro. Quando mi vedono si bloccano e mi guardano stupiti.  Il guidatore indossa una tee-shirt con la scritta Iron Maiden e le possenti braccia di boscaiolo lasciano intravedere numerosi tatuaggi, mamma che personaggi!

“Please can you help me?” Gli dico con fare amichevole porgendo il cavo d’acciaio che avevo in dotazione nel baule. Costui mi guarda ridacchiando, prende il cavo e lo butta nella neve ridendo fragorosamente.  Il momento è davvero carico di tensione, dalla macchina si sentono risate a crepapelle, mentre il possente Obelix si avvicina alla Delta piantata e la guarda come se fosse alle verifiche del rally. La sua pelle esposta ai meno 15 non da neppure il minimo segno di sentire il freddo.

“This is a true rally car!” Mi dice segnando la macchina col dito come un bambino che vede la befana per la prima volta. Non so che fare, mentre anche il suo collega scende, anche lui pieno di tatuaggi e in maniche corte, orecchini dappertutto, ha in mano una bottiglia di birra che sorseggia con fare disinteressato guardando la macchina, ai piedi delle scarpe da tennis slacciate in cui entra con noncuranza la neve, pulisce i vetri, apre le porte dietro e guarda dentro, come guardasse un’astronave, apre il baule e guarda dappertutto.

“Can you help me!” gli dico porgendo di nuovo la corda che avevo recuperato nella neve divenendo impaziente e soprattutto non capendo le intenzioni dei due. Mi guardano con fare beffardo mentre le ragazze urlano in continuazione dall’interno della Volvo dalla quale esce una musica pazzesca. “This is shit” Mi dice quello più grosso ributtando la corda nella neve. Le ragazze urlano sempre più forte e la musica aumenta ancora.

Inizio a pensare che siano “fatti” oltre misura, i sintomi ci sarebbero tutti. “Cazzo ma non mi lascerete mica qui” Dico spaventato. “Help me” Urlo riprendendo la corda dal mezzo della neve.  Uno risale in macchina e l’altro ride come un pazzo. Le ragazze urlano ancora più forte e il gigante rientra nella Volvo con la velocità di un gatto. “No non andare via ma siete matti ?”  La Volvo va in moto e il tipo parte…

Mi sembra di vivere un incubo. La macchina fa 20 metri e poi con un colpo deciso ritorna indietro in retromarcia. Avevo recuperato ancora la corda e la tenevo in mano come fosse una reliquia.  “Help me Please… help me!” Insisto.

Il tipo scende ancora prende la corda e mi urla “This is shit” la ributta lontano, con tutta la forza in corpo.  Apre il baule con fare di sufficienza quasi scocciato, estrae una enorme corda di quelle che si usano per ormeggiare le navi.  “This is good” mi dice mostrandomela a due centimetri dal naso e lasciando uscire dalla sua bocca una puzza d’alcool indimenticabile.

In meno di un secondo la corda è attaccata alla nostra Delta e al gancio traino della Volvo. Ma la Volvo guidata dal suo compagno di merende che nel frattempo era salito al posto del pilota senza che nessuno lo vedesse slitta e sibila sotto sforzo.  Il gigante urla qualcosa, le ragazze stanno finalmente zitte e la musica sparisce nel nulla. Sempre in maniche corte va davanti al muso della nostra macchina in mezzo alla neve fino al ginocchio e sempre in maniche corte urla qualcosa. Contemporaneamente la Volvo si rimette a sibilare sprofondando nel ghiaccio come un cavallo a cui è stato affidato un carico pazzesco… puzza di bruciato.
Quando sembra tutto compromesso il gigante si attacca da qualche parte, urla qualcosa di incomprensibile ricordando il terribile Hulk, alza letteralmente il muso della Delta che scivola in strada come fosse un fuscello.

Resto attonito, lo guardo e lui mi guarda sbattendo le mani sui pantaloni, le ragazze finalmente ridono e l’altro suo amico scende con calma a recuperare la corda, i suoi capelli lunghi biondi sono costellati di neve che luccica al chiarore dei fari, sembra quasi un vichingo appena sbarcato dalla sua nave di legno oppure un angelo mandato dal paradiso per togliermi da quella brutta situazione.
“T..T..Thank you” balbetto, lui sorride ma nemmeno si scompone.

Mi guarda ancora con il respiro pesante e risale in macchina senza parlare, la Volvo riparte sgommando nella neve con la musica a tutta e le ragazze che urlano nuovamente come impazzite al ritmo della radio indiavolata. “F..F..Flavio, ci hanno tirato fuori… veniamo da te… dammi la posizione esatta”
Quasi non riesco a parlare sono gelato sia dal freddo sia dalla paura, ero sceso senza le scarpe e non me ne ero accorto.  Sono le cinque del mattino, sette ore da quando ci siamo fermati.

Il furgone era a cinque chilometri dal fine prova e quando lo raggiungiamo capisco che è un problema tirarlo fuori. “Attacchiamo il cavo di acciaio e proviamo a tirarlo fuori, dovremmo farcela con le gomme e le quattro ruote motrici della Delta”.  Il cavo di acciaio va in frantumi appena sotto tensione e immediatamente ricordo la scena di poco prima quando Obelix me lo buttava via quasi offeso nel vederlo, lui sapeva il perché, era veramente una shit. Niente da fare!

“Tira fuori il crick e alziamo il furgone in modo che tocchi solo la ruota che sta in strada” Tolgo le cinture del navigatore e le attacco come corda di traino. “Voi due spingete verso la strada, io tiro con la Delta”  Dolcemente il Ducato torna in carreggiata tra la puzza di frizione e lo sfregare dei chiodi sul ghiaccio.
“Ora togliamo la catena rimasta e con il freno a mano cerchiamo di andare via da questo posto di merda”
Circa una decina di chilometri più avanti troviamo un paio di case e nonostante l’ora un tipo sta spalando la neve con una turbina a motore.
“Lasciamolo qui il furgone, domani mattina… anzi dopo… verrai ad aggiustarlo in qualche modo, non ne posso più e se andiamo a Karlstad in questo modo non arriviamo più, soprattutto se dobbiamo frenare, fatti un elenco dei ricambi di cui hai bisogno, poi ti lascio il muletto e in qualche modo lo aggiusti”
Flavio saliva nel sedile dietro infilandosi nel roll bar con incredibile agilità mentre rombando ci dirigevamo verso l’albergo.

Mi sentivo spossato, e quasi gli occhi si chiudevano da soli, ormai l’avventura nella foresta era solo un ricordo, mentre l’alba spuntava in mezzo alle betulle, erano quasi le otto del mattino e mancavano ancora quasi cento chilometri alla meta… la gara partiva la sera seguente e dovevo recuperare in fretta la stanchezza e la spossatezza mentale di quell’avventura, i miei piedi non sono più stati gli stessi da quel giorno ogni piccolo sbalzo di temperatura mi da fastidio e mi fa ricordare il buio della foresta svedese.