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  11 gennaio 2004

La mia esistenza di rallysta ebbe diversi periodi, più o meno felici, un po’ come succede nella vita di un pittore, ci sono periodi particolari e momenti decisamente meno particolari.
Di solito è molto più facile ricordare i ritiri e le delusioni che non le vittorie. Personalmente, posso dire di non aver raccolto moltissime vittorie, se le vetture fossero state più affidabili, sicuramente ne avrei acciuffate moltissime, poche volte inoltre ho inseguito dei campionati ed in quelle occasioni c’è stato sempre qualche problema che mi metteva in condizione di non vincere un bel niente.

Il primo periodo, quello degli albori, fu caratterizzato solamente da una tremenda voglia di partecipare alle gare, qualunque fosse il loro prezzo ed a qualunque costo. La povera Fiat 127 arrancava lungo le prove speciali con l’unica caratteristica di fare del rumore, pensate che alla prima gara (vedi “Debutto al cinema ” nel libro Il Sapore della Passione) mi ero fatto ritardare leggermente l’accensione in modo da farla scoppiettare in rilascio, già aveva zero cavalli e con quell’aggiornamento andò a zero meno due ma era determinante il rumore, quello si che mi esaltava. Guidavo ascoltando il canto (per modo di dire) del mille Fiat che in rilascio somigliava ad un’ inesorabile fila di bussolotti trascinata lungo le strade del paese… fui il precursore del bang-bang. Mi inebriavo nel mettere e togliere le marce, senza pensare se questo servisse ad essere veloci o no, e poi cercavo di strafare nei punti dove c’era molto pubblico, sperando che come nei film americani un giorno si presentasse a casa mia un grasso signore con un grosso sigaro in bocca dicendomi “Bravo ragazzo… hai del talento, ti assumo nella mia scuderia”. Mi resi conto appena qualche hanno dopo che questi signori forse esistevano davvero, ma che essi normalmente cercavano personaggi ben diversi da me, più simpatici forse o più semplicemente meglio dotati (economicamente).

Che fare…. Dopo un primo anno fatto di sole quattro gare, con i pochi soldi che riuscii a racimolare in giro e gli unici che avevo, tirati fuori dalle mie tasche, feci preparare la 127 per vincere la classe nei rally della mia zona. Non so se chi la preparò sbagliò qualcosa oppure se la solita bastarda sfiga, che tutti dicono non esista, abbia saputo invece esattamente chi colpire e soprattutto quando, ma fatto fu che terminai solo una gara, vincendo però la classe. Ruppi di tutto durante quell’annata ’77, compresi due motori, un paio di differenziali, persi una ruota a San Martino e via dicendo. A fine anno, esasperato dalla situazione, acquistai un’Opel Kadett GTE per correre un po’ più seriamente ma lì dovetti fare i conti con un imprevisto, l’amore, e per sposarmi fui costretto a lasciare tutto ed a fare il bravo (vedi “Esserci a tutti i costi” su RallyLink).
Rientrai a fine anno ‘78 e, dopo aver fatto due gare in maniera piuttosto rocambolesca con la 112, comprai una Ford Escort con la quale non corsi mai ma feci l’asino abbastanza per imparare a guidare discretamente.
L’anno dopo, il ’79, spinto da estrema follia insieme al fido amico Gianni, fucina di tutte le peggiori idee, feci tutto il Trofeo A112 iniziando in maniera piuttosto avventurosa e poi grazie ad una conoscenza fondamentale, quella di Loris Roggia, che apparve improvvisamente nella mia vita, mi misi a fare le cose un po’ più sul serio. Per tutta la stagione restai tra il quinto ed il sesto posto nella classifica e terzo degli under 23, poi le ultime due gare andarono male e terminai all’ottavo posto nella classifica finale. A fine anno mi trovai a piedi… letteralmente a piedi, anche perché la 112 l’avevo disintegrata a Sanremo dove non mi volevo accontentare del secondo posto ma volevo vincere e così mi ammucchiai, dopo un dosso, nei pressi di Carcare. Per la prima volta chiesi un serio aiuto al mio amico Sandro Munari che mi mise in contatto con il Jolly Club, loro avevano già tre vetture io feci la quarta a spese zero e lasciando a loro i premi, era una bella soluzione per correre praticamente da ufficiale.

Avrei sicuramente potuto vincere il Trofeo nel 1980 ma, per un insieme di ragioni che racconterò prossimamente, arrivai solo secondo pur avendo dominato soprattutto sullo sterrato. Non riuscii a vincere. A metà di quell’anno la situazione economica era molto brutta e fui perfino costretto a saltare una gara, il Lana, perché non avevo i soldi per pagarmi l’albergo e la trasferta… Quando il campionato finì mi presentai al Jolly e chiesi che programma avessero per me, dal momento che fino ad allora tutti i primi tre erano stati ampiamente ricambiati con programmi di tutti i tipi. Mi dissero che quello era un anno particolare (tanto per cambiare), in cui la Fiat aveva ristretto i budget in attesa della nuova macchina che sarebbe uscita nel 1982 cioè quasi due anni dopo, comunque per non sbagliarsi mi chiesero 60 milioni più le spese per correre con la 131 della Mandelli che era un mezzo catenaccio. Catenaccio a parte, in quel tempo avevo forse i soldi per tornare a casa da Milano e se fossi dovuto andare per esempio a Torino sarei stato già in seria difficoltà.
In casa mia era arrivata Martina, la mia primogenita, avevamo traslocato il negozio ampliandolo ed oltre che spendere tutto il possibile, avevo contratto un mutuo a condizioni capestro (27%) che non avrei mai pagato correndo anche in macchina. Come se non bastasse, il lavoro era calato molto a causa di una stagione piuttosto avara di neve e di turisti e tutti facevano pressione perché stessi a casa.

Me ne tornai a casa con la Ritmo dello zio, acquistata con una rocambolesca operazione di alta strategia finanziaria che comportò la perdita del saluto dal suddetto per circa venti anni… Dovevo comunque vivere e far vivere la mia famiglia a tutti i costi. Quindi il 1981 fu l’anno in cui non staccai nemmeno la licenza e guardavo mestamente i miei colleghi correre con macchine spaziali che avevano sonoramente pagato, mentre io cercavo disperatamente di piazzare un paio di sci a chiunque mi capitasse per le mani.
Avevo appeso tutte le foto che potevo nella scala del negozio ed ogni tanto qualche salame si soffermava a guardarle chiedendomi: “Ah, ma lei corre?”… che bella soddisfazione. Com’era difficile dire “No, non corro più perché sono un tonto e non ho una lira”. Già… fu un periodo davvero difficile, anche perché pur stando a casa non è che la situazione economica migliorasse e quel giudeo della banca non perdeva occasione di rovinarmi le già tristi giornate ricordandomi che il conto era scoperto o che c’era la rata del mutuo capestro da pagare, impegnandomi ogni lira faticosamente incassata…

A fine anno si presentò un’occasione che sembrava quella giusta (“Illusioni e illusionisti” e “La nuova era” nel libro Il Sapore della Passione) e, al naufragio di questa, apparve invece quella che fu la mia ancora di salvezza, la Citroen. Il 1982 fu un grande anno e terminai secondo nel Campionato Italiano di Gruppo B. Ricordo che Silecchia chiamò Verini per chiedergli se avesse intenzione di mandarmi ad Aosta (com’era in programma) per tentare di vincere il campionato, in tal caso avrebbe mandato Vudafieri e qualche altro pilota, parlava addirittura di Alen. I due si accordarono per lasciare le cose com’erano e ad Aosta al mio posto ci andò Ormezzano che fece una bella gara finendo quinto.
Ma non me la presi per questo, era una scelta del mio capo e la condivisi al massimo. Intanto ero già riconfermato per l’anno seguente, il 1983, con la nuova VISA Crono dal motore 1440. Le prime gare furono difficoltose perché la vettura aveva problemi di guarnizione della testata ma poi feci dei bei risultati a livello assoluto, non potevo inseguire dei campionati perché da quell’anno tutte le vetture erano o gruppo B (Lancia, Opel, Audi, ecc) o gruppo A o gruppo N, quindi con la piccola Visa gruppo B potevo solo lottare con i miei compagni di squadra. Ne avevo uno di particolarmente impegnativo e che aveva il solo obiettivo di prendere il mio posto. Lottai anche parecchio con quello che diventò il mio avversario storico di quegli anni e che ricordo sempre con stima, Gianni Del Zoppo con la Samba gruppo B. Inoltre si lottava contro le gruppo A di Bentivogli, Noberasco, Rayneri, con i privati di lusso ecc. che erano più potenti di noi. In ogni caso il titolo più ambito era quello di primo dopo i mostri.
Forse fu l’anno migliore per me come soddisfazioni, colsi anche qualche bel risultato.

A fine anno Sandro Munari, che era diventato direttore sportivo all’Alfa Corse, mi prospettò l’idea di una stagione ’84 alla guida dell’Alfa ufficiale nel team che lui avrebbe seguito, ma la Fiat comprò tutto e distrusse l’Autodelta assieme ad ogni attività sportiva dell’Alfa Romeo.
Presi comunque una decisione molto coraggiosa: vendere il negozio, pagare i vampiri e poi quello che sarà sarà, ora non avevo debiti ma nemmeno soldi e l’unica entrata veniva dallo stipendio di pilota che non era un gran che.
Nell’84 in Citroen ci fu una svolta molto importante, arrivò la seconda vettura a trazione integrale costruita dopo l’Audi Quattro, la Visa 1.000 piste che io portai al debutto al Costa Smeralda, secondo pilota italiano a guidare una 4x4 in gara. Ma oltre alla 1.000 piste giunse anche l’invenzione del mio capo di conquistare il campionato femminile con XXXX. Sinceramente la faccenda mi faceva rabbrividire in quanto mi vedevo trascurato proprio quando avevamo la vettura giusta per fare dei bei tempi e metterci in mostra, resterà per me storica la prova vinta a Piancavallo e alcuni tempi strepitosi fatti registrare nelle gare che in quell’anno erano lunghissime.
Sinceramente la questione del campionato femminile la valutavo come una questione di simpatia personale del mio capo e non come una cosa espressamente richiesta dalla Citroen, fatto sta che entrai in urto con lui, soprattutto quando fece correre l’ultima gara dell’Open, il San Marino, alla XXXX con la mia macchina ed io fui lasciato a casa (lei poi si ritirò perché era stanca!), già il femminile era una lotta a chi faceva meno… Era in definitiva un campionato giocato su chi sveniva di meno tra pianti, scenate isteriche, atteggiamenti da dive e fughe notturne in camere altrui.
Alla fine, per tenermi buono, mi fu promesso che avrei avuto presto la BX gruppo B che la Citroen stava costruendo per il mondiale e quindi l’anno dopo avrei combattuto anch’io per l’assoluto come il mio collega amico Gianni Del Zoppo che aveva avuto la T16 dalla Peugeot.

Non se ne fece niente e firmai così, quasi per ripicca, due anni per la Ford-Italia che mi corteggiava da tempo. La casa inglese doveva avere una gruppo A davvero performante. La macchina era fatta in Inghilterra dal reparto corse di Boreham che mandava un suo furgone e due tecnici alle assistenze curate dalla Promotor Sport, celebre per aver fatto correre e vincere le Ferrari nei rally. Si correva con il marchio Planning Sport creato apposta per l’occasione, sulla carta tutto era perfetto e addirittura mi avevano promesso l’arrivo della Rs 200 con la quale avrei dovuto fare qualche gara anch’io nell’86. Invece alla fine dell’86 furono banditi i gruppi B ed anche un’altra proposta di Munari per correre con la Metro gruppo B nell’87 tramontò miseramente a causa dell’abolizione di quest’ultimi.
Il primo anno con la Ford, il 1985, fu disastroso, ho ampiamente scritto nel libro “Il sapore della passione” di alcune gare, non riuscii mai a vedere il traguardo con quella vettura. L’anno dopo invece fu un po’ meglio anche se le rotture erano sempre le stesse, cambio o semiassi che ci fermarono sempre quando eravamo in testa, vinsi quasi tutte le prove speciali alle quali presi parte, e nelle uniche due volte che vidi il traguardo vinsi la Targa Florio e il Rally della Maremma, quest’ultimo fattomi fare apposta per strapparmi una firma che ancora oggi rimpiango. Mi fu chiesto di firmare per altri due anni e sviluppare una nuova macchina. Ma rifiutai perché avevo almeno altre tre opzioni, Audi, Peugeot e Lancia, quest’ultima per il mondiale, e la Ford sinceramente non mi attirava più, dopo la terribile esperienza fatta di 23 gare con due arrivi.
“Come posso firmare per altri due anni e con un’altra macchina, dopo quello che ho passato?” dissi a Micci che scuoteva la testa. La nuova macchina si chiamava Sierra Cosworth e sono convinto alla luce dei fatti che avrei vinto tutto in gruppo N, restando diversi anni ancora nel giro. Ma non era questo il mio obiettivo, io volevo il mondiale.
Scelsi la Lancia per la quale si prospettava un contratto da favola, campionato del Mondo in gruppo N con contratto Abarth anche come tester del gruppo A, con il quale feci moltissima strada, e la promessa che se fossi andato bene sarei passato alla squadra Martini.

Qualcuno mi mise in guardia dall’andare in quel nido di vespe, facendomi notare che gli interessi potevano essere anche quelli di non farmi vincere per niente. Onestamente non ci credevo ed il mondiale era il mio punto d’arrivo, stabilito fin da quando avevo iniziato a correre un po’ più seriamente, ma colui che lo disse aveva ragione, purtroppo.
La stagione andò male e non solo per colpa mia, io dimostrai di andare fortissimo ma fui ampiamente boicottato e a Sanremo dopo aver ubbidito ad un ordine di squadra molto perentorio, mi garantirono un programma anche per l’88. Restai tranquillo, sulla parola di persone che ritenevo uomini e rifiutai una nuova offerta fattami proprio dopo Sanremo dalla Ford, per tornare da loro con la Sierra gruppo A che stava dimostrando di essere ben diversa dalla Escort. Una settimana prima della chiusura delle iscrizioni del Montecarlo mi dissero con una grandissima malafede che ero a piedi. Andai da Fiorio e quest’ultimo mantenne esemplarmente la promessa, offrendomi due vetture, le gomme, i ricambi per correre, ma mi dovevo autogestire, cioè in una settimana trovare una squadra che mi fornisse l’assistenza.

Si fece avanti la Race-Day, squadra mediocre basata sugli affitti nei Coppa Italia con alcuna esperienza nel mondiale. Accettai pur di non stare a casa, anche perché mi raccontarono un sacco di balle pur di convincermi, ma le cose andarono molto male e con molti retroscena che scriverò ben presto.
A metà anno decisi che non si poteva più continuare in quel modo e mi ritirai (“Mille volti di una promessa” nel libro Il Sapore della Passione). Rifiutai alcune offerte per continuare a vivacchiare nel CIR di allora, ero completamente scoppiato e anche sentimentalmente avevo dei grossi problemi che influirono molto sul mio equilibrio, ci misi due anni a riprendermi.
Non ne volli comunque più sapere di correre a nessun costo, il mio obiettivo era il mondiale e non mi andava di tornare indietro a nessun prezzo. In quel periodo iniziavano a comparire i piloti con gli sponsor nella valigia, con i loro loschi intrallazzi ed anche certi affittari senza scrupolo, che hanno poi dato un grande discredito e una svolta negativa alla specialità. Vedevo iniziare un mercato fatto di cifre false dove anche l’incapace, se dotato di una buona macchina (da scrivere), poteva vincere, mentre i piloti veri restavano al palo. Uno schifo, quel periodo.

Mi inventai quindi la scuola, con tutti i suoi segreti che mi permisero di creare un mondo tutto mio del quale solo io ero l’artefice e nessuno avrebbe potuto metterci il naso per comandarmi e per boicottarmi, continuai a collaborare con i migliori piloti in tutte le vesti possibili ed in particolare con Piero Liatti con il quale ho passato sei anni bellissimi. Da allora sono sempre stato full time in quell’ambiente che avevo rifiutato e che mi aveva tradito nel momento più bello, ma che pur sempre mi affascinava e mi continua ad affascinare come quando da bambino, la notte, sognavo di fare il Sanremo od il Montecarlo. Il vero sapore della passione è la felicità di esserci e di continuare a vivere questo meraviglioso mondo con lo stesso entusiasmo dei primi giorni.